La Poesia italiana del Novecento - The italian Poetry of the 20th century

Guido Oldani


Guido Oldani è nato nel 1947 a Melegnano (Milano). Ha pubblicato sulle principali riviste letterarie del secondo Novecento ed è autore delle raccolte Stilnostro (CENS, 1985, prefazione di Giovanni Roboni), Sapone (Kamen, 2001), La betoniera (LietoColle, 2005). È stato curatore dell'Annuario di Poesia Crocetti ed è presente in alcune antologie, tra cui Il pensiero dominante (Garzanti, 2001), Tutto l'amore che c'è (Einaudi, 2003) e Almanacco dello specchio (Mondadori 2008). È l'ideatore del realismo terminale e l'inventore della similitudine rovesciata (nella realtà, la natura è divenuta azionista di minoranza, azionisti di maggioranza sono gli oggetti, si annulla la distanza fra i prodotti e l'uomo che incomincia ad assimilarli e nasce un modo radicalmente diverso di interpretare il mondo e di rappresentarlo, anche artisticamente, a partire dalla poesia). Con Mursia ha inaugurato la Collana Argani, che dirige, pubblicando Il cielo di lardo e nel 2010 Il Realismo Terminale, saggio-pamphlet tradotto negli USA a cura di Alessandro Carrera dell'università di Houston in Texas. Nel 2013, sempre per Mursia, è uscita la raccolta di scritti sullo stesso Realismo terminale, dal titolo La Faraona ripiena a cura degli italianisti Elena Salibra e Giuseppe Langella. La sua poetica degli ultimi anni è diventata uno spettacolo teatrale dal titolo "Millennio III nostra Meraviglia", scritto e interpretato da Gilberto Colla. È direttore del Festival Internazionale "Traghetti di Poesia" e fondatore del "Tribunale della poesia", collabora con alcuni quotidiani tra cui “L'Avvenire” e “Affari Italiani”. Ha vinto i premi National Talent Gold 2012 - Fondazione Zanetto, Spoleto FestivalArl 2012, Premio alla carriera Acqui Terme 2010.

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 DINTORNO

la pioggia è intirizzita dentro al freddo,
e cade come il sale sopra al brodo
facendo luccicare la contrada.
la luce si riversa come un olio,
che scende da un versare di bottiglia
e il giorno avanza come una cariola
sia svelta che a rilento, poco a poco,
e sotto una panchina verniciata,
un gatto è secco, lo rosicchia un topo.

GENTE

si danno delle oneste coltellate,
ha ognuno l’arma del suo continente
le loro lingue parlano fendenti.
c’è chi bersaglia meglio nella pancia,
chi taglia al collo come coi capretti
e chi finisce l’altro a calci e pugni
e il vinto cade con un fil di voce,
apre le braccia, per salire in croce.

IL DIALETTO

gli strati sopra, delle genti giunte
parlano lingue tra le più svariate,
quelle più sotto parlano in dialetto.
e i vivi che s’ impilano in galera
li calcano in celle-ripostiglio
e un altro detenuto si è impiccato
e lascia quel che ha : il cacio al topo,
le monetine per il magistrato.

LA FESTA

è uno stormo di biglie a capofitto,
la tempesta che cade sulle teste
e come auto in transito le guasta.
ed il silenzio dello sciame bianco
è il nevicare lieve come il niente,
su chi è straccione o chi veste alla moda
e un cane in giro azzanna chi lo sfiora,
intanto gli fa festa con la coda.


L’INIZIO

c’è una luce che sembra piuma d’oca,
la guancia ha il segno ancora del cuscino
e il colorito è piuttosto strano.
ha le scaglie , il pesce nell’acquario,
somiglianti alle tegole sul tetto
ed il tossire è come guerreggiare
ed è così che inizia la mattina,
prende il caffè, poi l’auto e fa benzina.

L’INCUDINE

somiglia ad un’incudine il quartiere,
su cui siamo battuti e modellati
virilmente dai colpi degli oggetti.
è una forgia la vita cittadina
e siamo insaponati dal rumore
e la neve nasconde il malaffare,
poi la nebbia è l’unico pudore,
c’è un po’ di tutto, meno che l’amore.

(Inediti)



LA BETONIERA

l’acqua ha già il sale e su, le petroliere,
versano olio, come condimento,
alla zuppa di pesce navigante.
e la gabbia del cielo ha le sue penne
che portano la cacciagione in volo
e i vermi sono filo per cucire,
che tiene insieme ogni zolla nera
e il tutto è nella pancia di dio padre,

che ci mescola, dolce betoniera.


SEDIE A SDRAIO

il mare come una saracinesca
regola la vetrina della spiaggia
in cui le teste dalle sabbiature.
ci sono in fila tante sedie a sdraio
come tagliole aperte quali bocche,
che ognuno affitta e dentro ci parcheggia
scroti d’italia, chili d’albicocche.


CRAVATTE

come cravatte rosse verso il cielo
si affacciano le fiamme al davanzale
incartando i gerani con il fumo.
e un camion grosso con la pancia d’acqua
alza la gamba posteriore e spegne
e hanno salvato il gatto per fortuna
la vecchia no, faceva grida indegne.


LE GUARDIE

si mormora che alcune forestali,
un po’ come caino con abele,
se l’incendino i boschi ai litorali.
invece in mezzo ai valichi di neve
portava grappa appesa al sottogola
il sanbernardo bianco per soccorso,
ma era solo un cane e non fa scuola.


IL SORPASSO

il lambro fiume senza un coccodrillo
dove tranquillo m’immergevo intero,
sull’acqua si può quasi camminare.
vogano in questa come se in volata
venendo ognuno giù da chi sa dove
e un fiasco in curva supera un coperchio
e un terzo affonda, capita se piove.


LA LAVATRICE

la centrifuga gira come un mondo
e i suoi abitanti sono gli indumenti
riposti dalla coppia dei congiunti.
si avvinghiano bagnati in un groviglio
i rispettivi panni in capriola,
sono rimasti questi i soli amanti,
quegli altri se si afferrano è alla gola.


Da “Il Cielo di Lardo” Mursia ed. 2008